Greenwashing…sai cosa significa?

Il greenwashing spietato miete vittime in ogni dove, ci siamo cascati tutti, anche involontariamente. Siamo tutti consumatori, tutti acquistiamo prodotti utili alla nostra quotidianità, dal cibo, ai vestiti, passando per i prodotti per la cura e l’igiene personale e per la pulizia delle nostre case e tanto altro ancora. Non passa giorno, quasi, in cui non acquistiamo qualcosa al supermercato, al negozio sotto casa oppure on-line. Acquistiamo per mera esigenza, acquistiamo per piacere di possedere qualcosa ma ci interroghiamo mai veramente su cosa stiamo comprando?

Ogni volta che acquistiamo qualcosa alimentiamo un mercato e troppo poco ci ricordiamo che noi consumatori abbiamo un enorme potere: quello di decidere cosa comprare  e quello di decidere cosa NON comprare! Ma abitualmente schiavi del marketing ce lo dimentichiamo e ci facciamo abbindolare da slogan accattivanti, che cavalcano l’onda del momento, come accade oggi, un’epoca in cui l’ecologia e l’impatto ambientale sono una moda, una vera a propria leva di marketing e il verde tinge le etichette di tantissimi prodotti in commercio, ma è tutto ECO quello che di verde luccica?

no no NO!

Cerchiamo di far luce sul greenwashing, per capire cos’è, come riconoscerlo per starci alla larga!

GREEN-WASHING

Definizione e spiegazione

Un neologismo anglosassone che trova radici nel termine whitewashing che letteralmente significa “dare una passata di bianco”, quindi nascondere dietro ad una facciata bianca e pulita un qualcosa di macchiato e sporco. Al termine washing si aggiunge in base all’inquadramento del problema la tinta ideale ad esempio Green per le tematiche ambientali, Rainbow per le tematiche di genere o Pink per quelle che riguardano i diritti delle donne. Ma qualsiasi sia l’accezione colorata affiancata al washing, si tratta sempre e comunque di una facciata (intenzionale o meno) con cui coprire la realtà meno colorata dei fatti.

Si definisce greenwashing: Una strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo. (Dizionario Treccani)

Questo concetto, che recentemente appare anche sul dizionario di lingua italiana, per definire le pratiche scorrette di comunicazione relative all’ambiente e all’inquinamento, è un neologismo tutt’altro che recente, tant’è che nel 2023 compie quarant’anni! Un tempo durante il quale l’attenzione e l’impegno nei confronti dell’ambiente sono diventati indubbiamente più forti: da un lato ci sono aziende che, effettivamente, attuano strategie di sostenibilità e conversione a pratiche più ecologiche e dall’altro abbiamo anche consumatori che sono certamente più di allora sensibili e attenti a queste tematiche, ma se di fatto un po’ di strada è stata fatta non si può di certo dire che il greenwashing è stato sconfitto.

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Perché le aziende fanno greenwashing?

La risposta è semplice: vendere di più.

Facendo greenwashing un’azienda punta a guadagnare maggiore credibilità agli occhi del consumatore, fare leva su tematiche importanti e attuali come la sostenibilità, l’inquinamento e la preservazione di animali è una vera e propria leva di marketing che al giorno d’oggi fa vendere di più e guadagnare un miglior posizionamento nella scala di marketing (brand position). Il greenwashing viene quindi usato a scopo di immagine per darne una migliore di quella reale o per “ripulirla”.

Smascherare il greenwashing

E’ difficile contrastarlo perché è sempre più difficile riconoscerlo, è ormai un problema sia politico che sociale, tanto sfuggente quanto pericoloso. Molto spesso le immagini o le scritte eco, green, veg, bio che appaiono nell’etichetta principale di tanti prodotti, sono decisamente fuorvianti oppure risultano troppo generiche o ancora stanno solo ad indicare una parte di verità omettendo gli aspetti più negativi.

Nel campo dei prodotti per la pulizia della casa, è pieno il mercato di multinazionali che hanno convertito parti (minime) delle loro produzioni in prodotti con formulazioni meno inquinanti ma continuano ad avere come “punte di diamante” prodotti che di ecologico non hanno nulla. Oppure parlando di cosmesi è zeppo il mercato di brand che sventolano bandiere verdi lanciando prodotti di cosmesi solida che di certo concorrono alla lotta al consumo smodato di plastica, ma che continuano ad avere formulazioni dannose per l’uomo e per l’ambiente. 

Ma se è sbagliato e immorale mentire perché è permesso? Perché le informazioni veicolate da claim, icone e slogan verdeggianti non sono verificabili, non sono regolamentate.

Non esiste una vera e propria regolamentazione italiana ma nemmeno europea, manca una legge che dica come deve essere un prodotto eco-sostenibile, non esiste un disciplinare di tutte le peculiarità che deve avere un prodotto per essere definito ECO, al momento esistono solo alcune regole frammentate che riguardano temi generali come i packaging ecologici o che regolamento/vietano alcuni degli ingredienti i più noti come rischiosi.

Tattiche di greenwashing: alcuni esempi

Gli esempi più noti per cosmesi e detersivi di classici “specchietti per le allodole” sono:

  • COSMESI: zinco piritione e butylphenyl methylpropional conosciuti come Lilial vietati dall’UE nel marzo 2022
  • DETERSIVI: tensioattivi biodegradabili Regolamento dell’ UE 648/2004/CEE

Sono tattiche di greenwashing applicate per dare un valore aggiunto ai prodotti, fatti che sono già veri di partenza, ma che non aggiungono qualcosa di unico al prodotto! Per cui scrivere “non contiene Lial” in grassetto non aggiunge nessun valore al cosmetico perché la presenza di quegli ingredienti è vietata da una legge Europea e se li contenessero non potrebbero essere commercializzati in Italia.

Così come non ha senso evidenziare in etichetta la biodegradabilità di un detersivo, perché ogni oggetto ogni sostanza è biodegradabile, il vero problema è il grado di biodegradabilità! E’ quest’ultimo a determinare l’impatto ambientale di un detersivo, cioè quanto tempo impiegano quei tensioattivi una volta raggiunte le acque di scarico a disgregarsi e degradarsi fino a perdere ogni effetto. Il discorso sarebbe molto più ampio, limitiamoci ora a dire che enfatizzare la biodegradabilità dei tensioattivi scrivendo in etichetta “con ingredienti biodegradabili”, sarebbe come dire “l’acqua è bagnata!”.

🔎Vuoi saperne di più sull’impatto ambientale dei detersivi? Non perdere l’articolo “Sai quanto inquinano i normali detersivi?”

Come difendersi

Occorre diventare consumatori un po’ più scaltri e certamente più consapevoli, non servono master particolari in Ecologia ma semplicemente avere la curiosità di informarsi un minimo e “girare” le confezioni per capire cosa effettivamente è contenuto nei prodotti che compriamo. Si spende certamente qualche minuto in più ad acquistare ma il tornaconto in qualità è enorme.

Da cosa diffidare? A cosa dobbiamo prestare attenzione?

Ci avvaliamo di un elenco redatto da quifinanza.it che esplicita le caratteristiche di comunicazione nei casi più noti di comunicazione scorretta, vediamo quindi quando e perchè è greenwashing?

  • non vengono fornite informazioni o dati significativi che supportino quanto dichiarato nel messaggio pubblicitario;
  • vengono date informazioni e dati dichiarandoli certificati quando invece non sono riconosciuti da organi accreditati e autorevoli;
  • vengono enfatizzate singole caratteristiche dei prodotti pubblicizzati, ritenendole di per sé sufficienti a classificarli come prodotti;
  • le indicazioni sul prodotto sono talmente generiche che il loro significato può venire frainteso dai consumatori;
  • vengono inserite etichette false o contenenti parole o certificazioni contraffatte;
  • vengono fatte asserzioni ambientali che sono semplicemente false.

(elenco riportato da: quifinanza)

Semplificando, un prodotto vestito con un packaging di carta o dai colori naturali con prati verde sullo sfondo dell’etichetta e qualche fogliolina verde qua e là non fanno ECO un prodotto. Claim di evocazione naturalistica posti in  evidenza su etichette dovrebbero insinuare in noi il dubbio di conoscere bene la natura del prodotto, insomma saper leggere le etichette ancora una volta è la chiave di volta.